venerdì 20 aprile 2012

DISABILITÀ, A PROPOSITO DI UNA COMUNIONE NEGATA


"Lasciate che i bambini vengano a me". Queste sono le parole di Gesù riportate in due brani dei Vangeli, nei versetti 13, 14 e 15 del Vangelo di Marco e nei versetti 13, 14, 15 e 16 del Vangelo di Matteo. Si tratta di parole che appaiono sottovalutate, secondo quanto riportato dall'Ansa, da un parroco della Diocesi di Ferrara che, durante la distribuzione della comunione nella cerimonia preparatoria alla Prima Comunione, ha saltato un bambino poiché affetto da ritardo mentale e quindi, a detta dello stesso parroco, non preparato a comprendere la differenza tra pane normale e pane eucaristico. Il parroco ha poi aggiunto che spera che, per il giorno della cerimonia ufficiale, il bambino riesca a essere preparato. La notizia è stata ripresa da diversi giornali lo scorso 12 aprile
(come la Repubblica) e smentita da Avvenire secondo cui c'era un accordo tra la famiglia e il parroco per favorire i tempi più lunghi di preparazione del bambino. Secondo Avvenire è infondata anche la notizia secondo cui gli stessi genitori avrebbero deciso di fare ricorso al Tribunale europeo dei diritti umani e al Vaticano ai sensi del diritto canonico. Nel caso in cui fatti del genere dovessero verificarsi, in ogni caso, sarebbe più efficace un appello alla Legge 67/2006 sul divieto di discriminazione delle persone con disabilità e alla Convenzione Onu sui diritti umani dei disabili ratificata dall'Italia con la Legge 18/2009.
Siccome vorrei richiamare l'attenzione sulla necessità di un maggior impegno pastorale delle comunità ecclesiali per una crescente integrazione ecclesiale dei minori e degli adulti disabili, desidero esporre il mio pensiero sulle obiezioni che ancora taluni si attardano a prospettare per negare la somministrazione del sacramento eucaristico a qualche bambino con disabilità mentale grave. Negli anni Ottanta sono stato presidente nazionale del Movimento apostolico ciechi (Mac) e sono intervenuto nel 1987 al Sinodo mondiale sui laici promosso dalla Chiesta cattolica. Quindi, pur essendo avvocato, mi permetto di affrontare la questione dal punto di vista pastorale secondo gli orientamenti del Concilio ecumenico Vaticano II, troppo presto dimenticato da molti parroci. Una delle più famose costituzioni approvate dal Concilio si apriva con le parole "le gioie e le speranze del mondo sono anche le gioie, le speranze e le sofferenze della Chiesa". Ciò ha fatto sì che presso l'Ufficio catechistico della Conferenza episcopale italiana fosse aperto un settore concernente la "pastorale delle persone con disabilità" che ha prodotto una serie di interessanti documenti formativi su come annunciare la morte e la resurrezione di Gesù ai bambini e agli adulti disabili, specialmente con disabilità intellettive. Temo che questi documenti non siano stati letti da molti parroci.
Da tali documenti emerge con la massima chiarezza che bisogna preparare e accostare i bambini con disabilità intellettive ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, specificamente con la comunione, insieme con i coetanei disabili, in modo da realizzare una vera integrazione ecclesiale al pari dell'integrazione sociale operata nelle scuole e nella società civile. Anzi l'invito per i parroci è proprio quello di aprire i gruppi di catechismo in preparazione alla Prima Comunione alla presenza di coetanei con disabilità, anche intellettive, per prepararli secondo le loro possibilità alla festa comune della comunione. Questi documenti, rispondendo alle obiezioni di quanti hanno una visione esclusivamente teologico-dogmatica del significato del mistero dell'incarnazione di Gesù, chiariscono che non esiste solo un'intelligenza razionale ma anche un'intelligenza metacognitica e simbolica fondata su aspetti apprenditivi, affettivi ed emozionali. Sono queste le modalità con cui le persone disabili acquistano più facilmente conoscenza. E a quanti obiettavano che era indispensabile avere una consapevolezza razionale della differenza tra il pane normale e il pane consacrato, questi documenti spiegano il valore del senso dell'affettività con cui i bambini, in particolare quelli che hanno disabilità intellettive, si avvicinano al mistero eucaristico. I documenti chiariscono, inoltre, che della fede di questi bambini, formati religiosamente secondo le loro possibilità, si fa garante la comunità ecclesiale nel cui seno sono stati allevati e integrati.
Di fronte a questi orientamenti pastorali di un ufficio della Cei, penso che molti parroci dovrebbero interpretare in modo più profondo le parole di Gesù che volle prediligere i bambini che certamente non sapevano e non avrebbero compreso cosa significava sentire dire che Gesù era il Messia e il figlio di Dio e aveva ringraziato il Padre perché aveva nascosto i valori del suo Regno ai sapienti e li aveva rivelati ai piccoli (Matteo capo 11, versetto 25).
Coloro che si dicono cristiani dovrebbero insistere con i preti e i parroci affinché evitino discriminazioni come questa, non correttamente diffusa dalla stampa, o altre come quella (vera) di qualche anno fa ai danni di un paraplegico a cui è stato negato il matrimonio religioso perché divenuto impotente a causa della sua disabilità. Dovrebbero insistere affinché, alla luce dei testi citati, si sappia sempre più realizzare l'integrazione nelle comunità ecclesiali delle persone disabili perché ciò costituisce la vera "imitazione di Cristo" che accoglieva con la massima naturalezza anche le persone emarginate. Se però questo appello a un rinnovamento pastorale non riuscisse a essere accolto con successo da tutti gli operatori pastorali e qualcuno si attardasse ancora in obiezioni intellettualistiche sulla somministrazione della Comunione o di altri sacramenti a persone disabili, allora forse qualche causa legale per discriminazione potrebbe svegliare noi cristiani dal sonno dogmatico.

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