venerdì 10 febbraio 2012

Autismo e sclerosi multipla, la sofferenza nascosta



Pazienti soli, soprattutto nella fase iniziale della malattia, che soffrono, in attesa di una diagnosi che non arriva. Il peso dell’assistenza sui familiari, che spesso devono lasciare il lavoro. Ad approfondire il vissuto dei malati di sclerosi multipla e delle persone che soffrono di autismo, ma anche delle loro famiglie, sono due indagini realizzate dal Censis nell’ambito del progetto pluriennale «Centralità della persona e della famiglia: realtà o obiettivo da raggiungere?», promosso dalla Fondazione Cesare Serono. «In attesa dell’arrivo di una diagnosi certa, i pazienti sono come “sospesi” e aspettano di capire, nella speranza di non soffrire di quella malattia – afferma Giuseppe De Rita, presidente del Censis – . Per loro è forse questo il periodo più doloroso e delicato».

SCLEROSI MULTIPLA - La prima indagine sul vissuto di chi soffre di sclerosi multipla ha coinvolto un campione di 302 pazienti, scelti attraverso l'Aism, Associazione italiana sclerosi multipla. La malattia esordisce in giovane età, tra i 20 e i 40 anni ( come rilevano del resto i dati epidemiologici) e colpisce soprattutto le donne, che fanno fatica a riconoscere una propria debolezza e tendono, anche loro,

a sottovalutare i sintomi nella fase iniziale della malattia. Nonostante i tempi per la diagnosi si siano ridotti dagli anni ’90 in poi, grazie anche all’utilizzo della risonanza magnetica, quasi un paziente su due afferma che si è rivolto a più medici prima di arrivare alla diagnosi corretta; il 40% ha avuto difficoltà a convincere il dottore pur essendo già presenti i primi sintomi, come astenia e stanchezza; il 29,5% degli intervistati ha ricevuto trattamenti per una malattia diversa.

SOFFERENZA - «Anche se nelle fasi iniziali spesso non si vede, la sclerosi multipla fa soffrire – spiega Ketty Vaccaro, responsabile della ricerca e del settore Welfare del Censis - . Il 28% del campione intervistato la nasconde, un po’ per rimozione, ma anche a causa di un contesto in cui occorre essere per forza efficienti». Man mano che la malattia progredisce, ha un impatto sulla sfera professionale: il 40% delle donne intervistate ha dovuto chiedere il part time, cambiare o addirittura lasciare il lavoro. Inoltre, quasi un paziente su due interrompe del tutto le attività svolte nel tempo libero fino ad arrivare all’isolamento sociale (in circa un caso su tre). A volte, nonostante l’aiuto dei familiari, i pazienti raccontano di avere la sensazione che non sia capita la loro sofferenza.

SERVIZI SANITARI - Anche se non ci sono ancora medicinali in grado di guarirla definitivamente, la terapia farmacologica è centrale per i pazienti: per ottenerla si rivolgono nella maggior parte dei casi ai centri clinici per la sclerosi multipla. Metà degli intervistati, invece, non ha accesso alla terapia riabilitativa e quella psicologica riguarda solo il 18% del campione (soprattutto diffusa tra i più giovani).

NON AUTOSUFFICIENZA – In media il 48,5% dei pazienti ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana. E la famiglia ha un ruolo centrale nell’assistenza. Quasi 4 pazienti su 10 ricevono assistenza informale tutti i giorni dai familiari conviventi e la percentuale aumenta al 62,8% tra chi ha livelli di disabilità più elevati. I pazienti sentono l’esigenza di avere come riferimento medici capaci di dare loro risposte adeguate e chiedono più visite ambulatoriali. Ma vorrebbero soprattutto maggiore assistenza domiciliare. Sul rafforzamento di questo servizio si è espresso anche il ministro della Salute, intervenuto alla presentazione della ricerca del Censis. «È necessario potenziarlo cercando di replicare in tutte le zone del Paese le buone pratiche che già esistono in alcune regioni», ha detto Renato Balduzzi, che ha anche annunciato uno «spazio per un Piano nazionale per le fragilità e la non autosufficienza all'interno del Patto per la salute, in discussione in questi giorni».

AUTISMO - La seconda indagine sul vissuto delle persone che soffrono di autismo ha coinvolto un campione di 302 famiglie, selezionate tramite l'Angsa, Associazione nazionale genitori soggetti autistici. Il 96% delle persone che soffrono di autismo vive in famiglia, il 4% in istituzioni residenziali.

DIAGNOSI IN RITARDO - Anche in questo caso la diagnosi arriva dopo percorsi lunghi e tortuosi, anche se i tempi si sono ridotti negli ultimi anni. Il 45,9% degli intervistati ha dovuto attendere tra uno e tre anni, il 13,5% addirittura oltre i tre anni. Mediamente, prima della diagnosi definitiva, le famiglie si sono rivolte a quasi tre centri o specialisti. I disturbi più frequenti sono legati alla compromissione della comunicazione verbale e no soprattutto tra i bambini più piccoli, seguono poi i problemi dell’apprendimento. Tra i disturbi più problematici da gestire, soprattutto quando i ragazzi crescono, ci sono l’aggressività e l’autolesionismo.

TERAPIE - «Le famiglie sono disorientate anche rispetto ai trattamenti - afferma Vaccaro - . Del resto la causa dei disturbi del comportamento, che caratterizzano l’autismo, rimane spesso conosciuta. Gli intervistati sono comunque favorevoli a interventi cognitivo-comportamentali (nel 49,3% dei casi), il trattamento più efficace secondo le recenti Linee guida pubblicate dall’Istituto superiore di sanità. Sono in media 5,2 le ore settimanali di terapia ricevute». Di queste, 3,2 sono pagate privatamente dalle famiglie, con costi rilevanti a proprio carico, contro le 2 erogate dal pubblico. Tra i più piccoli sono diffuse anche la logopedia e la psicomotricità (un bambino su tre), mentre il 30% degli adulti non fa nessun tipo di terapia. I farmaci sono assunti solo per tenere sotto controllo i sintomi più gravi, come aggressività e autolesionismo.

RUOLO DELLA SCUOLA - La scuola gioca un ruolo centrale d’integrazione per i ragazzi autistici. La quasi totalità dei bambini la frequenta. «Finita la scuola, però, si blocca anche l’inclusione nella società – sottolinea Vaccaro - . Il 13,2% degli intervistati frequenta un centro diurno, ma la maggior parte dei ragazzi rimane a casa, peggiorando così la propria condizione di isolamento».

FAMIGLIE SOLE - E per i genitori diventa complicato gestire sintomi gravi, con un carico assistenziale molto gravoso. Le ore di assistenza e sorveglianza sono in media 17 al giorno. «La famiglia è sola e comincia a diventare essa stessa una famiglia autistica – fa notare la ricercatrice - . Le mamme spesso rinunciano al lavoro (il 25,9%), o lo riducono (23,4%). E a preoccupare è il “dopo di noi”: se metà delle famiglie con bimbi piccoli rimuove il problema, le aspettative di una vita autonoma per i propri figli si riducono man mano che i ragazzi diventano adulti».



Fonte: Corriere.it

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